XVI Incontro Nazionale Amici dei Bambini - Cervia 2007 I protagonisti dell'accoglienza 26 agosto >> 29 agosto >> 30 agosto >> 31 agosto >> |
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26 agosto | |
Nel suo discorso di apertura Marco Griffini, presidente di Ai.Bi., ha messo in evidenza come oggi, rispetto al passato, sia peggiorata il clima dell’accoglienza del bambino abbandonato. L’adozione internazionale è la cartina di tornasole di tale situazione: questa infatti è considerata sempre più una possibilità da ostacolare, se non impedire. Sono numerosi gli Stati che, nonostante siano incapaci di assicurare ad ogni loro bambino abbandonato il diritto a vivere in famiglia, non ammettono il ricorso ad una famiglia straniera perché troppo preoccupati dei loro problemi di immagine (non apparire paesi esportatori di bambini). Occorre quindi trovare nuove soluzioni per tentare di cambiare radicalmente la cultura dell’accoglienza. È questo un compito che non può essere assolto da organizzazioni, associazioni per quanto grosse e efficienti, ma dalle singole famiglie che fanno della promozione della cultura dell’accoglienza un loro impegno. “Negli anni Ottanta gli insegnanti di scienze investivano molto sulla questione dell’inquinamento, oggi siamo molto sensibili alla questione e stiamo attenti a quello che facciamo. Dovremmo fare lo stesso coi nostri figli e coi giovani così che le prossime generazioni possano coltivare il valore dell’accoglienza e garantire ai bambini abbandonati il sostegno di cui hanno bisogno. Non possiamo risolvere l’emergenza abbandono da un giorno all’altro ma è nostro dovere, come ci insegna lo spirito salesiano, investire sull’educazione dei fanciulli”.
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27 agosto | |
Il comune di Torino è in emergenza sul fronte dei minori in difficoltà familiare: ad oggi sono un centinaio i bambini e adolescenti allontanati dallo loro famiglie di origine e appena 10 i genitori affidatari in tutta la città. Ne dà notizia in un’inchiesta il quotidiano “La Stampa”. Per tentare di risolvere il problema il Comune di Torino ha avviato una nuova campagna di sensibilizzazione sull’affido familiare e ha attivato un numero verde per rispondere a quanti sono interessati a conoscere l’affido e rendersi disponibili ad accogliere un minore in difficoltà. Si ripropone così un problema spinoso e irrisolto: il privato sociale, ancora una volta, non viene riconosciuto dal servizio pubblico come interlocutore capace di gestire le proprie risorse, ovvero centinaia di famiglie disposte ad accogliere minori in temporanea difficoltà familiare. Ai.Bi. ritiene inefficaci le campagne come quella avviata a Torino e in altri comuni italiani, evidenziando piuttosto la necessità di allargare la gestione dell’affido al privato sociale. Le associazioni familiari da anni lavorano a stretto contatto con genitori che si sono resi disponibili all’affido, se non addirittura all’apertura di Case famiglia per accogliere bambini e adolescenti in difficoltà familiare. Sono numerosi, però, gli ostacoli burocratici che impediscono di mettere a frutto tali risorse. Come dimostra il caso del Comune di Torino, si preferisce investire su campagne di sensibilizzazione anziché su associazioni costituite da famiglie disponibili ad accogliere minori in difficoltà familiare. Già qualche anno fa il Comune aveva lanciato una campagna ad hoc, “Mi fido di te”, che non aveva contribuito a risolvere il problema di centinaia di minori allontanati dalla famiglia di origine. Tuttavia l’assessorato ai Servizi sociali del Comune di Torino ha preferito rilanciare la formula della campagna in un’affannosa ricerca di genitori affidatari. In questo modo le famigli disponibili all’affido rimangono abbandonate a se stesse. E’ questo il caso di una famiglia piemontese di Ai.Bi. che da mesi ha presentato ai servizi territoriali tutta la documentazione necessaria per aprire una Casa famiglia, ma che ha visto la propria pratica bloccata per ragioni burocratiche. E così si perde la possibilità di risolvere il grave problema dei minori allontanati dalle loro famiglie, quando basterebbe far intervenire le associazioni familiari e le centinaia di genitori disponibili all’affido con cui le associazioni lavorano ogni giorno. Da Cervia, dove le famiglie del movimento di Amici dei Bambini sono riunite per l’annuale Settimana di studi e formazione – “I protagonisti dell’accoglienza”, fino al 1 settembre - si è aperto il dibattito sull’affido familiare. Tra i molti aspetti sollevati dalla discussione, ha destato interesse il caso di Torino, dove a fronte di un centinaio di minori allontanati dalla propria famiglia di origine, solo 10 sono gli affidi. Per questo il Comune ha gridato all’ emergenza e ha lanciato una campagna e sensibilizzazione e un numero verde informativo (“Cercansi genitori disperatamente”, La Stampa, lunedì 27 agosto). “Non è il momento di investire su campagne di comunicazione ma sulle associazioni familiari, composte appunto da famiglie già disponibili e formate per accogliere minori in affido – dice Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. - . Una cosa è informare, altra è creare le condizioni perché le accoglienze si realizzino. Proprio a Torino abbiamo una nostra famiglia che da mesi cerca di avviare, senza esito, una casa famiglia che potrebbe accogliere ogni anno molti bambini in difficoltà; eppure – continua Griffini - pare impossibile trovare una struttura adatta. Non mancano dunque le famiglie, ma i concreti investimenti su di loro e sulle associazioni che possono metterle in rete, facendole crescere”. Le famiglie di Ai.Bi. evidenziano così un paradosso tutto italiano: da un lato le amministrazioni comunali denunciano un’emergenza, ovvero la penuria di famiglie accoglienti per tanti bambini in difficoltà e si concentrano così su iniziative di comunicazione; dall’altro le associazioni familiari sono pronte a mettere a disposizione le loro famiglie, ma non vengono consultate né rese partecipi di scelte strategiche a favore dei minori, specialmente per le fasce di età più ‘difficili – 0-3 anni, adolescenti – per le quali occorre pensare a soluzioni specifiche quali le case famiglia. “E’ come assistere a un rincorrersi continuo tra domanda e offerta che però non riescono a incontrarsi – conclude Griffini – . Auspichiamo che dai lavori di questo convegno le istituzioni sappiano trarre spunto per avviare concreti rapporti di collaborazione con il privato sociale”. “I protagonisti dell’accoglienza” prosegue domani, martedì 28 agosto, con una tavola rotonda “Le sfide dell’accoglienza” in cui verranno discusse le strategie da mettere in campo per promuovere una cultura dell’accoglienza. Sono stati invitati esperti dell’adozione internazionale americani e brasiliani. Kevin Cohen, presidente dell’Associazione Adoption Annex di New York, affronterà il tema dell’abbandono e dell’accoglienza nello stato di New York; Maria Antonieta Pisano Motta, coordinatrice volontaria del gruppo di appoggio all’adozione di San Paolo, interverrà con una relazione sull’abbandono e l’accoglienza in Brasile; non mancheranno inoltre le testimonianze di due famiglie di Amici dei Bambini che gestiscono altrettante case famiglia. |
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28 agosto | |
Kevin Cohen, presidente e fondatore dell’associazione Adoption Annex di New York, ha illustrato la realtà dell’infanzia nello Stato di New York, dove l’abbandono è spirale continua di esclusione sociale per migliaia di minori. Tra gli argomenti di discussione, anche quello relativo all’”adozione aperta”, molto diffusa negli Stati Uniti che in qualche modo richiama l’”adozione mite” in via di sperimentazione in Italia: una forma di protezione del minore che consente di mantenere la relazione tra famiglia naturale del minore e famiglia adottiva. Un modo che negli Stati Uniti è stato promosso da una parte degli addetti ai lavori come forma di sostegno e accompagnamento delle madri in difficoltà che decidono di donare un futuro migliore ai propri figli pur sapendo di non essere in grado di crescerli. “Il caso degli Stati Uniti è emblematico – spiega Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini – e dimostra che l’abbandono non si risolve con il denaro o l’assistenza ma con una serie di interventi che vedono nella famiglia e nelle associazioni familiari le uniche risorse per i minori abbandonati. Queste esperienze ci fanno pensare che forse occorre trovare anche in Italia una terza via giuridica tra affido e adozione”. A questo proposito l’esperienza brasiliana presentata da Maria Antonieta Pisano Motta, psicologa e coordinatrice volontaria del Gruppo di appoggio all’adozione di San Paolo, ha offerto una ulteriore prospettiva sulla tutela dei minori abbandonati: un progetto pilota che cerca di spezzare la rete delle adozioni illegali dove il neonato viene consegnato direttamente dalla madre alla famiglia adottiva, che va contro quanto previsto dalla legge brasiliana. Il progetto, sostenuto da una campagna di sensibilizzazione, mira a responsabilizzare tutte le parti coinvolte (madre naturale, famiglia adottiva, intermediari, addetti ai lavori). In Brasile, solo a San Paolo, ogni giorno vengono abbandonati 2 bambini, mentre in tutto il paese oltre 20mila minori sono ufficialmente registrati negli istituti (il 63% è di colore e proviene da classi povere). Nei primi tre mesi del 2007, sono stati abbandonati negli istituti di San Paolo 202 bambini, alcuni dei quali con meno di 72 ore di vita. Maria Antonieta Pisano Motta, psicologa e coordinatrice volontaria del Gruppo di appoggio all’adozione di San Paolo, ha offerto una ulteriore prospettiva sulla tutela dei minori abbandonati: un progetto pilota che cerca di spezzare la rete delle adozioni illegali dove il neonato viene consegnato direttamente dalla madre alla famiglia adottiva, che va contro quanto previsto dalla legge brasiliana. Il progetto, sostenuto da una campagna di sensibilizzazione, mira a responsabilizzare tutte le parti coinvolte (madre naturale, famiglia adottiva, intermediari, addetti ai lavori). In Brasile, solo a San Paolo, ogni giorno vengono abbandonati 2 bambini, mentre in tutto il paese oltre 20mila minori sono ufficialmente registrati negli istituti (il 63% è di colore e proviene da classi povere). Nei primi tre mesi del 2007, sono stati abbandonati negli istituti di San Paolo 202 bambini, alcuni dei quali con meno di 72 ore di vita. Nel paese non esistono, di fatto, neonati per le adozioni internazionali proprio perché è diffusa la consegna diretta del figlio: “La madre sceglie personalmente i futuri genitori di suo figlio - ha detto Pisano Motta – ma l’obiettivo del nostro progetto è far venire alla luce queste donne. La campagna che abbiamo promosso vuole renderle visibili perché possano usufruire di servizi e interventi a tutela del minore. Esiste oggi nel paese una rete di neonati ‘disponibili’ per questo tipo di adozione, senza garanzia per i bambini e senza formazione per le coppie: “A questa rete si rivolgono le coppie che non vogliono aspettare – ha detto la psicologa - ma così si crea un circolo vizioso. La consegna diretta impedisce che si conoscano la storia e le origini del bambino, impedendo anche per il figlio adottivo di poter accedere, in futuro, a informazioni per lui importanti”. Un ulteriore problema sollevato dalla Pisano Motta è quello della restituzione dei bambini adottati per queste vie. “E’ maggiore il numero di persone che vogliono legalizzare l’adozione illegale attraverso queste reti di quelle che iniziano le procedure per vie legali come prevede la legge brasiliana. Vorremmo accompagnare le madri naturali in modo che la decisione che prendano sia consapevole per sé e per il figlio, per evitare tra l’altro gravidanze e consegne di minori a ripetizione”.
Cohen ha raccontato la propria esperienza personale di figlio adottivo che lo ha portato a fondare una associazione a sostegno delle adozioni e contro l’abbandono dei minori, in un paese in cui ogni anno circa 700mila minori vivono sotto protezione statale e 114 mila bambini e adolescenti sono dichiarati in stato di abbandono. “Sono avvocato e ho vissuto la mia vita a New York dopo essere stato adottato – ha detto Cohen – e per lunghi anni non ho riflettuto mai realmente sulla mia condizione di figlio adottivo: la mia esistenza scorreva felice e serena a fianco dei miei genitori”. Cohen ha dunque creato l’associazione, Adoption Annex, per sostenere le famiglie adottive, bambini e le famiglie in difficoltà, cercando di mettere in rete tutti i soggetti intorno all’infanzi abbandonata o in difficoltà familiare: “Volevo raggruppare in un unico luogo, anche fisico, tutti i soggetti impegnati nella lotta all’abbandono – ha spiegato Cohen - : negli Stati Uniti la realtà dell’affido, dell’adozione e del sostegno sono mondi che non si parlano, non comunicano. Adoption Annex vuole essere un centro che ospiti associazioni per famiglie in difficoltà, servizi per l’affido e agenzia per le adozioni, nonché una scuola per il sostegno psicologico e scolastico dei minori adottivi e in affido: l’obiettivo è integrare questi minori nella società e evitare la loro esclusione sociale”. Tra gli obiettivi futuri di Adoption Annex è prevista anche progetti di formazione per le coppie con équipe specializzate (prima e dopo l’adozione), nonché la realizzazione di un Museo del bambino che racconti la storia dell’infanzia legata alla storia dell’accoglienza. |
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29 agosto | |
“Ho un desiderio – scrive il bambino - di vedere i genitori che mi hanno creato. Mi domando: perché mi hanno lasciato sul marciapiede? Forse per il mio bene? Nel mio cuore ci sarà posto anche per loro e quando Dio mi chiamerà a sé, potrò dire loro che voglio bene. Ho fiducia in loro, perché mi hanno lasciato in una famiglia che mi vuole molto bene. Per tutto questo dico: grazie di tutto” Griffini ha sottolineato che l’unica logica dell’amore è la follia: ci può essere anche un solo spazio di bene nella grande sofferenza dell’abbandono? “Nonostante l’abbandono, l’amore sopravvive, anche se fra due abbandoni, quello di Gesù e quello degli uomini. Si abbandona per poter essere vero figlio: senza accoglienza il dono dell’abbandono non ha alcun significato. L’assistenza resta solo abbandono, un dono sprecato perché non sarà mai trasformato in dono. Solo l’accoglienza redime, cambia il volto al male, al di là perfino della decisione iniziale. L’abbandono accolto è sempre e comunque un dono”. La relazione di Griffini è proseguita approfondendo l’estremo atto dell’abbandono di Gesù: “Qui si svela l’identità del Padre, follemente innamorato delle sue creature, per la salvezza delle quali non esita a sacrificare il suo unico figlio. L’accoglienza dell’abbandonato consente al dono di rivelarsi: in ogni abbandono è possibile pertanto rintracciare un dono. Come ha riferito Maurizio Chiodi, “un bambino abbandonato e non accolto è un dono senza inizio”. Così avviene per Gesù: se non viene accolto rimane l’Abbandonato, un dono sprecato. Ai piedi di quella croce, sulla quale abbiamo contemplato le nostre tre realtà di abbandono (Gesù, il bambino e la coppia sterile) in attesa di un gesto di accoglienza per liberare il loro dono – c’è una mamma che soffre perché è stata abbandonata da Colui che è stato abbandonato e spera, lei stessa, di essere salvata. In Italia oggi la legge tutela chi genera e chi nasce: la donna è rispettata nell’anonimato, non è giudicata e può accedere al riconoscimento tardivo entro 60 giorni dal parto. Il neonato ha diritto a essere curato e cresciuto, ma non può accedere a informazioni sui genitori biologici. Paolillo ha poi illustrato il progetto della “culla tecnologica” o “baby box” all’ospedale Casilino, che serve un territorio di 800mila persone. Nel 2005 ci furono, nell’area che dipende da questo ospedale, 2 casi di abbandono per strada: un bambino trovato in un cassonetto, una bambina lasciata sul pianale di un camion. “Ricordo bene la bambina – ha detto Paolillo – era vestita e ben accudita. Così come nel 2006 una donna portò il suo bimbo, fingendo di averlo trovato per strada. Tutti casi in cui la madre era costretta ad abbandonare, ma amava il proprio figlio. Nonostante le campagne di comunicazione, la legislazione, abbiamo ancora casi di abbandono per strada, anche nella capitale d’Italia. Così abbiamo deciso per un ritorno al passato e attivare una culla tecnologica”. E’ stata così attivata la baby box, collegata a un reparto tecnologico, a telecamere e sensori. E' garantito l’anonimato; la telecamera punta solo sul bambino che, appena collocato nella culla, attiva due allarmi per far intervenire lo staff medico. “Ci rivolgiamo a quelle donne che per ragioni diverse non sanno, non possono o non vogliono partorire in ospedale – ha spiegato Paolillo – E’ stato singolare che, pochi mesi dopo l’inaugurazione della culla termica, è stato lasciato a inizio 2007 un neonato. Lo ricordo bene: sapeva di borotalco, la madre gli aveva appena fattoli bagnetto. Lo aveva allattato e poi è stata costretta a abbandonarlo, per ragioni che non conosciamo. Oggi questo bambino è accolto in una famiglia”. Lo scorso dicembre al Policlinico Casilino è stato inaugurato un presidio per l’accoglienza e l’assistenza dei neonati abbandonati. Si tratta di una struttura pensata per tutte quelle donne che non possono o non vogliono avvalersi del diritto di partorire in ospedale nell’anonimato e in sicurezza, come garantisce la legge italiana. "Il fenomeno dell’abbandono neonatale è un grave problema - ha riferito - : il numero degli abbandoni al Policlinico Casilino di Roma è il più alto di tutta la capitale: sono stati 30 tra il 2004 e il 2006". Paolillo ha quindi sottolineato che l’iniziativa della culla - versione contemporanea della ruota che nei secoli scorsi accoglieva i neonati abbandonati nei monasteri - vuole dare una risposta concreta a un malessere latente, che nei casi più disperati spinge i genitori a commettere atti estremi per liberarsi dei propri figli. Con la culla le madri che si sentono costrette ad abbandonare il proprio bambino potranno farlo nell'assoluto anonimato e con la certezza che il neonato sarà prontamente assistito. E offrendo così ai bambini abbandonati la possibilità di essere dati in adozione.
Tuttavia, come ha sottolineato Motta, il mito dell’amore materno impedisce di esaminare con obiettività il fenomeno dell’abbandono minorile. In un paese come il Brasile in cui vengono abbandonati in media due bambini al giorno, "è doveroso identificare i motivi che determinano la separazione di una madre dal proprio figlio. La maggior parte delle donne consegna il proprio figlio cercando la garanzia che verrà curato, protetto e amato. L’atto dell’abbandono è quindi spinto dalla volontà di offrire al proprio figlio tutto ciò che non potrebbe comunque ottenere dalla madre. La mancanza di un adeguato sostegno sociale alle madri brasiliane - ha spiegato - è evidente". La mancanza di sostegno dai servizi pubblici si evidenzia in varie forme: nell’assenza di programmi di sostegno psicologico ed economico, nella scarsità di luoghi di accoglienza della mamma con il proprio figlio; nell’inefficienza di programmi di prevenzione della gravidanza; nell'assenza di strutture che accolgano mamma e bambino. Le donne continuano a vivere senza sapere come mantenere i propri figli. Sarebbe dunque più appropriato, secondo Motta, parlare di consegna anziché di abbandono. Cambiare la visione del fenomeno è necessario anche per smontare i pregiudizi della relazione tra genitori e figli adottivi, oltre che per consentire lo sviluppo di servizi personalizzati per le madri in difficoltà familiare. Se l’atto dell’abbandono viene considerato come la consegna a una “nuova vita”, la separazione dalla madre naturale diviene un atto di amore, poiché il figlio avrà l’opportunità di essere amato da una famiglia adottiva. “Nasce una bambina, alla quale non viene nemmeno tagliato il cordone ombelicale né passato il sale della pulizia (con tutti gli aspetti simbolici di questa lettura) per poi essere gettata in aperta campagna. Il parto è paragonabile alla creazione di uomo e donna da parte di Dio, posti dinanzi a sé dopo averli creati; il taglio dell’ombelico offre la possibilità di porsi in relazione. Quando non ci fosse, non ci si può porre in relazione e dunque se non c’è abbandono non ci sarà neanche il dono. Non basta nascere da genitori naturali: questa è la verità espressa in tutta la Bibbia, così come il mistero del rapporto con il figlio. Si pone dunque la domanda: quando una persona nasce? Nascerà in virtù di un atto libero che non c’entra con l’atto del suo nascere. Dio non è nel mondo biblico frutto di una concezione astratta come nel mondo greco, è un divenire che mai si manifesta. Nascere quindi vuol dire fare tutta l’esperienza dell’abbandono e poi liberarsi, per diventar Regina, ovvero non sottoposta a nessuno, uscita da ogni schiavitù". “Per vivere il dono in tutta la sua forza di esperienza originaria e fondante, lo si deve realizzare in maniera radicale e così coinvolgente che il soggetto nel dono “si abbandona” – ha detto don Cozzi - entrando in un nuovo ordine di relazioni. Nella fede si realizza una dinamica di dono in cui il destinatario può ricevere il dono solo se entra nella logica del donatore. Partendo dall’esperienza di Gesù sulla Croce e nel Getsemani – nel Vangelo è il mistero della sofferenza dell’Agnello di Dio che porta i peccati di tutti gli uomini – si legge un avvenimento di consegna-tradimento, che ha la forma dell’abbandono. Gesù si consegna al suo destino abbandonandosi al Padre e alla sua volontà (Getsèmani) fino a sentirsi abbandonato da Dio sulla Croce (grido di Gesù): così si realizza il passaggio del dono. Da questo passaggio nasce un nuovo ordine di relazioni e rapporti, in cui emerge l’identità del Figlio generato dal Padre attraverso l’abbandono della croce. Solo condividendo l’abbandono del Figlio si possono accogliere i doni originari di Dio. Don Maurizio Chiodi - docente di Teologia morale presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale di Milano - ha introdotto il tema del dono e le relazioni tra chi lo offre e chi ne beneficia. “Il dono certamente non è una cosa – ha spiegato – il dono è il senso di una cosa, un simbolo, nel quale insieme si nasconde e si rivela una relazione tra due soggetti, liberi di dare e ricevere. Pur nell’atto estremo, abbandonare un bambino può significare anche donargli la vita. Il dono, come ha sottolineato don Chiodi, si manifesta nell’atto umano sia del generare che dell’adottare. Nel mettere al mondo un figlio i genitori gli donano la vita, un dono inestinguibile, però possono venir meno al loro ruolo, abbandonando il figlio. Ecco allora che l’abbandono potrebbe essere seguito da un altro dono: quello della famiglia adottiva che accoglie il bambino con l’adozione riattivando così una relazione filiale. Il dono di una rinascita. L’atto del donare, come ha evidenziato Don Chiodi, è un atto del tutto gratuito, che nasce e si rivela nella relazione tra due soggetti, liberi di dare e di ricevere. Non si tratta di un atto dettato dall’interesse a ricevere una contropartita. “Fa’ all’altro quello che vorresti che l’altro faccia a te” (Lc 6,31): è questa la relazione di giustizia e uguaglianza che caratterizza ogni relazione dell’uomo.
“Della mia origine si era parlato in famiglia ma non a fondo e solo a 12 anni il fatto di essere stato abbandonato è emerso nella mia vita – ha detto Alberto Pazzi, una sorella adottiva e una ‘biologica’ - ; non andavo a fondo del problema per paura di prenderne coscienza. A quell’età il nome “abbandono” non aveva grande significato: per un bambino doveva significare qualcosa di negativo e doloroso, eppure non lo sentivo non ero stato scosso nell’intimo. Perché? Cercavo risposte senza porre domande vere, forse non mi sentivo pronto a essere veramente felice”. Alberto, che tutt’oggi non conosce a fondo la sua storia, è stato lasciato in ospedale. “I genitori ‘biologici’ mi hanno voluto bene perché intanto mi hanno donato la vita. Eppure dovevo fare i conti con i genitori adottivi, che mi hanno sempre visto come loro figlio. Vedevo che la sorella maggiore era trattata allo stesso modo della minore, biologica. Tuttavia non si può crescere con facili risposte, mi dicevo: i conti li dovevo fare con me stesso e pormi serie domande. E si insinuarono i dubbi. Forse non ero stato voluto, mia madre magari non mi voleva, ma avrebbe sofferto di più nel non farmi nascere”. Oggi Alberto Pazzi lavora per Ai.Bi. : “Sentivo di voler dare risposte e aiuto a altri ragazzi che hanno vissuto il mio stesso abbandono, eppure ho capito che non è salvando gli altri che salvi te stesso. Oggi ho solo conferma di essere stato amato, che sono un figlio e che per me l’abbandono è stato davvero un dono, concretizzato nel far parte di una famiglia che cercava in me un figlio. E questa è la cosa più importante – ha aggiunto - perché sono parte del passato e del futuro che i miei genitori volevano; quando accetti che l’abbandono è un dono, capisci quanto è questo valore all’interno del nucleo familiare che ti ha accolto”.
Un bambino abbandonato è un bambino senza relazioni sane con persone adulte e soprattutto senza amore. "L’adozione a distanza diventa quindi un prendersi la responsabilità per uno di questi bambini abbandonati. Responsabilità che non significa colpa ma significa il tentare di “promuovere” la vita di questo bambino - ha detto Campari - Il SAD diventa quindi una vera e propria relazione di “genitorialità”, non legale non giuridica ma certaente “spirituale". Una forma di accoglienza che riesce ad essere molto vicina nonostante le distanze". Per i figli “spirituali” è una vera iniezione di speranza: "Per la prima volta conoscono un adulto che li pensa, scrive loro e non vuole niente in cambio. Non riversa su di loro parole dure, violenze e frustrazioni - ha spiegato - Ad un certo punto hanno addirittura paura di “scoprirsi troppo”, per non essere feriti: per fortuna questo non accade. Per i genitori spirituali con fede e immaginazione si arriva a rendere concreto e vicino un bambino lontano, che non conoscono, ma che è ben presente nel loro cuore". Il Sostegno a distanza diventa così "una forma speciale di accogliere, senza nessuno che “ingombra il tuo spazio”, niente di concreto su cui basarsi, su cui confortarci. Tra i molti casi portati a esempio, anche quello di una coppia italo-marocchina di sostenitori che sono diventati famiglia, anche vicina, al loro “figlio” con i parenti rimasti in Marocco, tanto che lo vanno a trovare ogni settimana.
Ornella e Silvano Bernazzani, coppia con quattro figli, dopo circa vent’anni di esperienza di affido, hanno aperto una casa-famiglia due anni fa a Vizzolo Predabissi (MI), dove possono accogliere in “pronto intervento” due minori da zero a tre anni e quattro bambini fino a diciotto anni. Ornella ha sottolineato l’importanza della casa-famiglia come struttura di transito per accompagnare i bambini finché non verrà trovata per loro una soluzione definitiva, nella famiglia d’origine, in affido o in adozione. La famiglia Bernazzani ha illustrato al movimento di famiglie presenti a Cervia la vita quotidiana di una casa famiglia, una famiglia come tante ma con alcune complessità inevitabili: difficoltà che si accettano per amore dei bambini. “Quando cominciano i diritti dei bambini?” si è domandata Ornella, riferendosi alle lungaggini e ai rinvii per definire lo status di moti bambini in difficoltà, costretti a permanenze lunghe fuori dalla famiglia, in attesa per mesi, a volte anni, che vengano fatte delle scelte su di loto. “Nel frattempo questi bambini scontano sulla loro pelle la difficoltà degli operatori di prendere decisioni definitive - hanno detto - : a livello fisico e psicologico questi bambini non possono chiamare “mamma” e “papà” coloro che si prendono cura di loro tutti i giorni, anche se li lega a loro un affetto analogo a quello filiale. La casa famiglia deve essere custode del sogno di una famiglia di questi bambini”. La testimonianza della famiglia Carnazza si è concentrata invece sulla scelta di aprire una casa famiglia, iniziata con l’adozione del loro figlio. Laura e Silvano sono sposati da tredici anni, da alcuni anni si sono trasferiti a Vaiano Cremasco: la comunità locale e parrocchiale hanno accolto con entusiasmo la loro iniziativa e oggi la struttura sta completando le procedure di autorizzazione al funzionamento; presto sarà pronta ad accogliere fino a sei bambini. |
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30 agosto | |
Marco Griffini, a conclusione della settimana di studio svoltasi a Cervia - “I protagonisti dell’accoglienza” –, si fa interprete della proposta del movimento di famiglie adottive e affidatarie che oggi ha presentato il proprio manifesto politico contro l’emergenza abbandono: dopo un confronto con esperti italiani e stranieri, è stato elaborato un documento programmatico che racchiude le strategie da mettere in campo per promuovere a tutto tondo una cultura dell’accoglienza, a partire dall’Italia: gratuità delle adozioni internazionali, la gestione dell’affido alle associazioni familiari e del privato sociale, la regolamentazione del Sostegno a distanza con la creazione di una Authority, lo sviluppo dell’adozione europea e la regolamentazione in Italia della kafala, il sistema di protezione per minori in vigore nei paesi islamici. (in allegato, indice del manifesto politico) A Cervia le famiglie hanno affrontato il sistema di riforma delle adozioni internazionali, in un contesto italiano di generale crisi: poco più di 3mila adozioni l’anno a fronte di circa 70 enti autorizzati e 12mila coppie idonee in attesa. “Per una vera riforma delle adozioni bisogna partire da aspetti pratici, rispettando ad esempio i tempi delle procedure in Italia – ha detto Massimo Ranuzzi, genitore adottivo di Viterbo e coordinatore della sede laziale di Ai.Bi. - : sono poche le famiglie che, per avere l’idoneità, hanno atteso quanto previsto dalla legge, ovvero 4 mesi per le indagini dei Servizi sociali e 2 mesi per la valutazione del Tribunale dei minorenni. La media calcolata su 10 regioni italiane è di 15 mesi, cui si aggiungono i tempi delle procedure all’estero. Accogliere un bambino in famiglia è un’impresa sempre più difficile”. Da qui la proposta, contenuta anche nel manifesto, di eliminare i Tribunali per i minorenni dall’iter per le idoneità adottive, anche per ragioni di merito: “L’Italia è l’unico paese che prevede il ricorso a una sentenza per avere l’idoneità a essere genitore adottivo – aggiunge Griffini -: i giudici entrano negli affari intimi della famiglia, valutando quanti componenti debba avere, quanti anni dovrebbe avere il figlio e da che paese provenire, giudicando le potenzialità di amore per un bambino: in Italia non c’è rispetto delle libertà individuali se voglio fare famiglia con figli adottivi. Forse è necessario il parere di un giudice se una coppia vuole avere figli naturali e quanti?” Secondo Ai.Bi. l’ingerenza dei tribunali per i minorenni negli affari adottivi riguarda anche le competenze del giudice straniero: il riferimento è all’emissione, in Italia, di decreti di idoneità vincolati a sesso, età, caratteristiche genetiche del minore adottabile, che limitano e interferiscono dunque la valutazione del tribunale straniero in fase di abbinamento con la coppia adottiva. “Si tratta di una visione errata delle adozioni internazionali: non dobbiamo cercare bambini per certe famiglie ma famiglie per quei bambini che sono effettivamente disponibili per andare in adozione. Dopo tanti anni, leggi e regolamenti hanno dimostrato di non essere stati in grado di cambiare la cultura dell’accoglienza - conclude Griffini - : è il momento che, per un nuovo clima culturale, le associazioni familiari si approprino di un ruolo determinante nella società”. Sono numerose le sfide per il 2008 che Ai.Bi. ha lanciato nel proprio manifesto politico contro l’emergenza abbandono. Tra i temi affrontati spiccano la riforma dell’adozione internazionale, la regolamentazione del sostegno a distanza, il riconoscimento del privato sociale nella gestione dell’affido, l’adozione europea e la kafala, forma di accoglienza per i bambini abbandonati nei paesi islamici. Per migliorare il sistema dell’adozione internazionale l’associazione snocciola una serie di proposte: la gratuità dell’adozione internazionale come presupposto indispensabile per garantire un’equità di trattamento alle famiglie che intendono adottare un bambino straniero. Oggi chi adotta un bambino straniero non gode delle stesse condizioni di chi è genitore naturale o di chi ha adottato un bambino italiano, anche se esistono misure di sostegno. Una famiglia adottiva deve sostenere costi molto onerosi, in media 10mila euro solo per le spese di procedura. Ai.Bi. propone quindi la creazione di un Fondo annuale destinato all’adozione internazionale – altro da quello previsto da D.P.C.M del 28/06/2006 che prevede un rimborso delle spese non portate in deduzione - tramite il quale lo Stato versi agli Enti autorizzati le spese procedurali sostenuti dalle coppie. L’associazione chiede, inoltre, l’annullamento dei limiti di età del minore adottato per il godimento dell’astensione facoltativa dal lavoro, nonché l’equiparazione alla maternità biologica per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per un totale di 5 mesi. Altro aspetto fondamentale per migliorare il sistema è, secondo Ai.Bi., l’eliminazione dei Tribunali per i minorenni dall’iter per l’idoneità adottiva: non è necessario un organo di verifica e selezione delle coppie, anche considerato il fatto che oggi si avvicina al 100% la percentuale di ottenimento del decreto di idoneità alle aspiranti famiglia adottive. Per adottare sarebbe sufficiente l’accompagnamento dei Servizi sociali e degli Enti autorizzati, il cui ruolo di servizio pubblico è già stato riconosciuto dalla legge in vigore. Per garantire trasparenza ed efficienza della procedura adottiva Ai.Bi. propone di valorizzare la presenza sul territorio degli Enti autorizzati, in modo da garantire alle coppie aspiranti e alle famiglie adottive un reale miglioramento nel percorso di accompagnamento prima e dopo l’adozione.
Nella legge islamica la kafala è la più alta forma di protezione per l’infanzia abbandonata: non esiste l’istituto giuridico dell’adozione legittimante o adozione piena – quella cioè che rescinde i legami tra il minore adottato e la sua famiglia di origine – ma una sorta di “affido illimitato”. Ad oggi la kafala presenta gravi difficoltà di riconoscimento in alcuni paesi, tra cui l’Italia, proprio perché non contempla una adozione legittimante. Dal 2002, dopo l’entrata in vigore della legge 476/98 di ratifica della Convenzione dell’Aja, tale istituto non ha più ottenuto riconoscimento nel nostro ordinamento. Decine di migliaia di minori istituzionalizzati in Marocco e in altri paesi di legislazione islamica non possono più nutrire la speranza di avere una famiglia italiana o del loro paese residente in Italia. L’adozione europea potrebbe rappresentare una soluzione moderna e innovativa per i bambini dell’Europa: un nuovo livello di intervento realizzabile tra stati dell’Unione per consentire l’accoglienza in famiglia ai bambini abbandonati italiani, francesi, spagnoli o rumeni che oggi si trovano in istituto e hanno solo due alternative: l’adozione nazionale o l’adozione internazionale. L’ingresso della Romania e della Bulgaria in Europa, paesi che di fatto hanno bloccato l’adozione internazionale, impone la necessità di individuare soluzioni adeguate all’inserimento dei minori in famiglia. Altra frontiera dell’accoglienza è la regolamentazione dell’affidamento internazionale, che implica l’accoglienza temporanea di un minore in un paese straniero. Con l’affido internazionale il minore avrebbe la possibilità di trovare accoglienza in un Paese straniero come opportunità di crescita. Per dare una risposta adeguata ai reali bisogni dei minori stranieri, il progetto di affidamento internazionale potrebbe essere concepito in tre modalità di realizzazione differenti. A otto mesi dalla chiusura degli istituti - che ha previsto “il superamento del ricovero in istituto entro il 31 dicembre 2006 mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali”- è ancora lontana l’applicazione della legge 149/2001. Per ottenere un reale salto di qualità nei servizi a favori dei minori, Ai.Bi. ritene alcuni obiettivi assolutamente prioritari e irrinunciabili: 1) Valorizzare la famiglia come risorsa della società e risposta privilegiata. Per potere accogliere un minore privo o allontanato dai suoi genitori, è necessario innanzitutto individuare una famiglia. In questo modo si può prevenire il collocamento del minore in strutture, realizzando una presa in carico della famiglia di origine da parte dei servizi dell’Ente Locale e privilegiando interventi “familiari” (affido, adozione, comunità familiari), attraverso una progettazione partecipata tra operatori dei servizi e famiglie disponibili. 2) Riconoscere la diversità di tipologie delle Comunità residenziali e promuovere le Comunità Familiari. I requisiti gestionali e strutturali delle Comunità devono differenziarsi in rapporto alla presenza o meno nella struttura di una coppia residente. 3) Riconoscere le associazioni familiari come risorsa strategica a servizio dei minori in difficoltà, proprio perché sono l’espressione delle famiglie accoglienti. Ciò implica una maggiore attenzione e riconoscimento del ruolo delle associazioni, da parte dei servizi sociali e degli operatori. La concertazione tra istituzioni, servizi, famiglie, associazioni dovrebbe diventare una prassi, in un’ottica di sussidiarietà e di reciproca valorizzazione. inoltre secondo Ai.Bi. dovrebbe riconoscere alle associazioni la titolarità e la gestione della funzione pubblica per la ricerca di famiglie disponibili all’accoglienza di minori in difficoltà familiare. |
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31 agosto | |
A conclusione della settimana di studio “I protagonisti dell’accoglienza” è stato presentato il manifesto politico di Ai.Bi. contro l’emergenza abbandono: un documento programmatico che racchiude le strategie da mettere in campo per promuovere a tutto tondo una cultura dell’accoglienza. Per quanto riguarda l’adozione internazionale l’associazione punta il dito contro l’iniquità del sistema: Anche l’affidamento familiare necessita di un rilancio per favorire un’effettiva accoglienza dei minori in temporanea difficoltà familiare. Per fare ciò sarebbe fondamentale il riconoscimento del ruolo delle associazioni familiari come risorsa strategica a servizio dei minori, da parte di servizi sociali eistituzioni. Al privato sociale dovrebbe essere assegnata, quindi, la gestione della funzione pubblica per la ricerca di famiglie disponibili all’accoglienza di minori in difficoltà familiare, proprio per il legame privilegiato che si sviluppa tra le associazioni e le famiglie. Kafala e adozione europea sono i nuovi orizzonti di una società orientata all’accoglienza dei minori abbandonati e in difficoltà familiare. Nella legge islamica la kafala è la più alta forma di protezione per l’infanzia abbandonata: non esiste l’istituto giuridico dell’adozione legittimante o adozione piena – quella cioè che rescinde i legami tra il minore adottato e la sua famiglia di origine – ma una sorta di “affido illimitato”. Ad oggi la kafala presenta gravi difficoltà di riconoscimento in alcuni paesi, tra cui l’Italia, proprio perché non contempla una adozione legittimante. E così decine di migliaia di minori istituzionalizzati in Marocco e in altri paesi di legislazione islamica non possono nutrire la speranza di avere una famiglia italiana o del loro paese residente in Italia. Anche su questo fronte è necessario agire per garantire ai bambini e adolescenti dei paesi dell’Islam il diritto alla famiglia. Il manifesto sarà presentato a gruppi parlamentari, Commissioni e ministri competenti in materia di infanzia – in primis il ministro per la Famiglia Rosy Bindi e il ministro della Solidarietà sociale Ferrero. |
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